Marina Abramović
Marina Abramović ha trasformato la performance in un luogo di verità.
Fin dagli anni Settanta, il suo lavoro ha ridefinito il ruolo dell’artista e dello spettatore, portando il corpo al centro dell’esperienza estetica come spazio di resistenza, ascolto e responsabilità condivisa.
Nelle sue opere, il corpo non è mai semplice strumento espressivo, ma soglia: tra controllo e abbandono, tra presenza e rischio, tra individuo e collettività. Abramović lavora sul tempo, sulla durata, sulla concentrazione, chiedendo allo spettatore di rallentare, di sostare, di prendere parte. L’opera non accade senza chi la attraversa.
La sua pratica, radicale e rigorosa, si fonda su una disciplina quasi ascetica, ma resta profondamente umana. Dolore, silenzio, sguardo e respiro diventano materiali artistici, capaci di generare un’esperienza che non si consuma nell’istante, ma continua a risuonare nella memoria di chi vi prende parte.
Questa ricerca, che ha influenzato generazioni di artisti e ridefinito il rapporto tra arte e vita, invita a una riflessione essenziale: cosa significa essere presenti, oggi. In un tempo dominato dalla velocità e dalla distrazione, Abramović ci restituisce il valore dell’attenzione come atto etico prima ancora che estetico